Sunday, August 20, 2006

Origem do seu Sobrenome (somente sobrenomes italianos)

Nos acompanha desde o nosso nascimento, e estamos tão acostumado a ele, que o pronunciamos, sem ter contudo a curiosidade de conhecer o seu significado.
O sobrenome (em italiano = cognome) surgiu quando o homem, tendo abandonado o sistema tribal e do clã, começou a viver numa sociedade organizada. O sobrenome,ou o segundo nome , servia justamente para diferenciar-se dos outros membros dos diferentes grupos familiares que formavam o aglomerado onde vivia.
De forma resumida, podemos dizer que um primeiro passo em direção a um sistema moderno de onomástica foi dado pelos Etruscos, dos quais os Romanos copiaram os três elementos tradicionais: Praenomen, Nomen e Cognomen. Mas como funcionavam,ou melhor, qual era a função desses três elementos.
Por exemplo: em Caio Julio César, o famoso e conhecido general e político da história romana, Caio é o praenomen, equivalente ao nosso nome de batismo; Julio é o nomen, da “gens” Julia (por gens se entendia um complexo de famílias unidas por vínculos de sangue comuns) e César é o cognomen, que pelo mais é um apelido. Apesar da afinidade do termo, era o nomen, o que mais se aproximava ao sobrenome moderno.Esse sostema porém era adotado apenas pelas classes patrícias e eqüestres. O povo, ou seja a plebe romana, usava pelo mais o sistema patronímico e matronímico, ou seja “fulano(a) filho(a) de sicrano(a)”, que nada mais é que aquele dos povos semitas (árabe e judeu), que ainda usam os termos ibn e ben, que nas duas línguas significam justamente filho.
Em seguida, com a queda do Império Romano, em plena Idade Média, houve uma completa reviravolta social, devido principalmente à invasões de outros povos com diferentes usos, costumes e tradições. Caiu também o tradicional sistema onomástico romano, continuando porem o povo a adotar o sistema patronímico e matronímico. Foi justamente nesse período que começaram a surgir os primeiros sobrenomes italianos modernos. Com o avançar dos séculos, já em plena época feudal, e com a consolidação dos grande burgos e cidades, sempre obrigados pela necessidade de diferenciar-se, já que existia uma convivência com elementos diferentes, os homens começaram a adotar como segundo nome (daqui a explicação do termo italiano cognome, que propriamente significa com nome), formas obtidos de nomes pessoais, apelidos que se referiam a características físicas, morais, atividade, determinativos étnicos (do lugar de origem) e assim por diante.
No entanto, o primeiro grande passo em direção a um sistema de sobrenomes de massa, se deu por uma disposição do Concílio de Trento (1564), que tornava imutável, obrigatório e transmissível o sobrenome. Isso para facilitar a cobrança de impostos, mas principalmente para evitar casamentos e uniões entre consangüíneos. Atualmente na Itália, segundo recentes pesquisas temos um panorama de aproximadamente 257.000 sobrenomes documentados.
Concluindo :o sobrenome italiano, assim como o conhecemos hoje, remonta a uma dezena de séculos. Podemos pois afirmar com toda a certeza, que já existia documentado, bem antes da chegada da esquadra de Pedro Álvares Cabral nas praias da Terra de Santa Cruz em 1500.

Edoardo Coen

.

Era guerra... e io un bambino / Era guerra... e eu menino



1. QUEL LONTANO 10 GIUGNO / AQUELE LONGÍNQUO 10 DE JUNHO

Avete mai notato come è strano e incomprensibile il meccanismo dei ricordi? A volte bastano le note di una canzone, il profumo di un fiore, una semplice parola, perché sorgano improvvisi alla memoria, riallacciando un periodo della nostra vita che sembrava dimenticato per sempre.
Non saprei dire pertanto per quale ragione mi ritorna alla memoria il giugno del 1940. Forse perchè ci troviamo in giugno, ed oggi è una magnifica giornata di sole. La stessa di quella di 62 anni fa.
Quel giugno del 1940 era per me, mio fratello e mia madre un mese speciale. Il 20 ci saremmo dovuti imbarcare per il Brasile, dove mio padre era emigrato un anno prima. Mia madre, indaffarata con i preparativi del viaggio, alle prese con facchini e spedizionieri, per levarci di torno, mi spediva, insieme a mio fratello al giardinetto di Montecavallo, al lato del palazzo del Quirinale dove con altri ragazzi di uguale tonnellaggio ingaggiavamo furibonde partite di calcio all’ultima scarpa, per la disperazione del “sor Adamo”, il guardiano, che diceva che gli rovinavamo il tappeto erboso. Quale tappeto erboso non sono mai riuscito proprio a saperlo, già che nello spiazzo dove giocavamo, pareva che ci fosse passato il cavallo di Attila. Non ci nasceva un filo d’erba!
Adesso, parlando sempre di cavallo non ho mai capito perché il giardino si chiamasse Montecavallo. Forse perchè c’era una statua equestre di re Carlo Alberto, guardando la reggia del Quirinale, reggia che in vita sua aveva avuto occasione di ammirare appena in cartolina...! Ma ritornando a quel 10 giugno, ricordo che verso le 5 del pomeriggio,quando l’ora poteva essere calcolata dallo stato di lerciume in che eravamo ridotti, udimmo un brusio di voci e di canti provenienti davia Nazionale. Sapete come sono i ragazzi, immediatamente interrompemmo la nostra partita di calcio, e dopo esserci guardati uno con l’altro, ci precipitammo in direzione al rumore.
Era un nutrito gruppo di studenti universitari, riconoscibili dai caratteristici berrettini di vari colori a secondo le facoltà frequentate, che intruppati seguivano vociando in direzione a piazza Venezia.
Chi guidava il gruppo erano due tizi stivalati e bardati di nero orbace, come scarafaggi, con tanto di cappello con la fatidica “gallina d’oro”, che marciavano impettiti davanti. Di volta in volta si riggiravano, e irrigidendosi sulla posizione d’attenti alzavano il braccio nel saluto romano berciando a pieni polmoni: “A chi la vittoria?”, “A noi !!!!” rispondeva la mandria. E la marcia continuava.
Io, insieme a mio fratello e agli altri compagni, sul marciapiedi stavamo a guardare, senza capire una acca della ragione di tutto quel baccano, al che, uno di quei giovani che sfilava, passandomi accanto, ridendo mi apostrofò: “ Ah babbaleo, chiudi il becco. Ma non lo sai che tra poco il Duce parlerà...!”. Il Duce parlerà? Fu come se mi avessero dato una frustata. Il Duce rappresentava per me una figura mitica, qualcosa al di sopra dei comuni mortali, una leggenda ,un dio. Poter avere l’opportunità di ascoltare la sua voce già mi inebbriva di un entusiasmo che mi faceva “tremar le vene e i polsi”. Il mio primo impulso fu quello di accodarmi alla mandria vociante che si dirigeva verso piazza Venezia, ma pensai che se “cotale Uomo” avrebbe parlato, sicuramente la radio avrebbe trasmesso le sue parole. E così, trascinandomi dietro mio fratello recalcitrante, correndo mi precipitai verso casa. Arrivai trafelato con la lingua di fuori, intanto mia madre e il nonno avevano messo in funzionamento il vetusto Phonola, un trabbicolo a forma di tempietto gotico, da dove uscivano confuse le urla della “massa oceanica” che si comprimeva davanti a palazzo Venezia, aspettando l’apparizione del “Nume”, mischiate alle note di “Giovinezza” e ad altri inni patriottici.
Alla fine il grande Uomo parlò. Sulle prime non riuscivo ad afferrare bene il significato di quello che diceva. Mi limitavo a scrutare il volto di mia madre che diventava sempre più preoccupato, ma quando udii l’annuncio: “La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bratagna e di Francia!”, mi si fece luce e compresi perfettamente quello che era accaduto. Non feci caso al morso che mia madre si dette al labbro inferiore, Si erano in quel momento spalancate le porte di un mondo nuovo, sconosciuto. Nella mia mente di ragazzo di 10 anni si stavano finalmente concretizzando tutti i fasulli sogni di gloria, di eroismo, di amor di patria prodotti dall’indottrinamento al quale ero stato sottomesso in quegli anni. Tutto l’inutile ciarpame che mi aveva imbottito la testa era entrato in eruzione.
Accompagnato da mio fratello, urlando mi precipitai in strada. Una gazzarra da non dire. La gente sorrideva felice, si abbracciava. Sembrava quasi che avessa vinto un terno al lotto. Sventolio di bandiere, grida ed evviva echeggiavano da tutte le parti: “La guerra...Siamo entrati in guerra...Vincere...e vinceremo...”
Travolto anche io dall’euforia generale mi misi ad inneggiare entusiasmato.
Ricordo che, appoggiata all’angolo di via Nazionale con via Milano c’era una vecchia signora che dimenava sconsolata la testa incorniciata dai capelli bianchi. Aveva in mano una sporta. Quando le passai accanto udii distintamente quello che diceva: “Ma lo sapete bene quello che festeggiate?”.
No. In quel momento non potevamo saperlo.
La fame, i bombardamenti, le disillusioni, l’occupazione tedesca, la guerra civile, la paura, le stragi e le deportazioni sarebbero venuti più tardi.
L’avrei dunque saputo dopo. Avrei anche compreso il significato di quel morso che mi madre si dette alle labra. Ma intanto anche la mia innocente e spensierata fanciullezza era oramai svanita per sempre....!
.

Lição de italiano

Você tem dúvidas sobre a língua italiana? Deixe aqui seu post!

italiani al'estero

colocar aqui texto em italiano portugues e espanhol jornal